Il mio nuovo articolo per il blog di Tages Onlus: News dalla ricerca scientifica. I risultati di un recente studio mettono in luce il ruolo della self-compassion e della dipendenza interpersonale in relazione alla depressione
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Da un recente studio, che ha messo insieme ed analizzato molte delle ricerche svolte negli ultimi anni sull’argomento, è emerso che la depressione colpisce fino al 30% degli studenti universitari e cioè quasi 1 su 3. E’ un dato impressionante se si pensa che la sintomatologia depressiva nella popolazione generale interessa invece circa la metà (16%) delle persone.
Tra i fattori che ci rendono vulnerabili allo sviluppo della depressione sono stati presi in considerazione anche alcuni aspetti legati alla personalità. Ad esempio la “destructive overdependence” (DO), ovvero uno stile interpersonale che potremmo definire come bisognoso e indifeso, caratterizzato da un’eccessiva dipendenza dagli altri anche in situazioni in cui sarebbe plausibile agire autonomamente, sembra essere correlata ad un certo rischio per lo sviluppo della depressione e ad un’alta tendenza a sviluppare pensieri auto-critici.
Non tutti gli stili di funzionamento di tipo dipendente sono però negativi; esistono infatti anche forme di “healthy dependency” (HD) ovvero di dipendenza sana che sono caratterizzate da comportamenti interpersonali assertivi ed utili per il raggiungimento di obiettivi. Si pensi ad esempio a quanto sia adattivo e funzionale aderire in modo coscienzioso alle prescrizioni mediche ricevute (Bornstein, 2011).
Nonostante ciò la maggior parte degli studi inerenti la dipendenza ha preso in considerazione solo la sua parte disfunzionale, valutando le caratteristiche degli schemi cognitivi negativi e auto-critici, e tralasciando invece il ruolo di quelli positivi associati alla “healthy dependency” e del loro possibile effetto protettivo verso lo sviluppo di forme patologiche di dipendenza e depressione.
Partendo da tali considerazioni alcuni studiosi (Denckla, Consedine & Bornstein, 2016) si sono proposti di indagare meglio il contributo di questi aspetti ponendo il focus in particolare sulla “self-compassion”. Vale la pena precisare che la compassione verso se stessi non riguarda vissuti emotivi quali l’auto-commiserazione giudicante o la pena nella sua accezione più negativa, anche se la traduzione italiana del termine può trarci in inganno; essa si riferisce piuttosto a caratteristiche disposizionali quali l’essere presenti e aperti alla propria sofferenza, l’essere gentili con noi stessi anziché tendere all’auto-condanna e l’essere consapevoli del fatto che il dolore è un’esperienza condivisa con il resto dell’umanità e che quindi non dobbiamo vergognarcene o sentirci soli quando lo proviamo (Gilbert, 2010).
Ma perché la self-compassion? Dalla letteratura scientifica emergono alcuni dati interessanti. Ad esempio sembra che la self-compassion sia utile nel contrastare sia gli effetti negativi dei fallimenti accademici negli studenti universitari che l’insorgenza di sintomi depressivi in individui auto-critici; inoltre, alcuni recenti studi mostrano degli effetti di riduzione della depressione da parte dei trattamenti basati sulla self-compassion nonché un incremento del benessere in seguito ad essi.
Partendo da ciò, gli autori si sono chiesti se ed in che modo la self-compassion potesse avere un ruolo rilevante nella relazione tra la dipendenza interpersonale (sia quella “sana”, HD, che quella “patologica”, DO) e la depressione. In modo più specifico, si sono domandati se la self-compassion possa svolgere la funzione di “mediatore” (cioè se il rapporto tra dipendenza e depressione non sia diretto ma legato all’effetto di essa) o di “moderatore” (cioè se il rapporto tra dipendenza e depressione sia influenzato dalla self-compassion attraverso un effetto di interazione).
Per quanto riguarda la “healthy dependency” (HD), dai risultati è emerso che ad un alto livello di “dipendenza sana” corrisponde un minore livello di depressione . La “destructive overdependence” (DO) invece risulta associata a maggiori sintomi depressivi. Gli autori hanno anche confermato che la self-compassion svolge un ruolo di mediazione sia nella relazione tra DO e maggiori sintomi depressivi che in quella tra HD e minori sintomi depressivi.
Come interpretare questi risultati? Lo studio si era proposto di indagare la relazione tra dipendenza interpersonale e depressione, valutando il ruolo della self-compassion all’interno di questo rapporto. I risultati hanno messo in luce che una forma di dipendenza “patologica” (DO), caratterizzata da percezione di sé come debole, paura di essere abbandonato, intenso bisogno di accudimento e richiesta di rassicurazioni, si associa con maggiori livelli di depressione e che questa associazione è mediata da una bassa self-compassion. La presenza di una forma di dipendenza “sana” (HD) invece, caratterizzata dalla percezione di sé come competente e degli altri come affidabili, da un funzionamento autonomo e da una ricerca di aiuto quando appropriato, è associata a minori livelli di depressione e questa associazione è mediata da un’alta self-compassion.
In pratica l’effetto che i tratti dipendenti hanno sui sintomi depressivi passa anche attraverso la self-compassion, che quindi potrebbe contribuire indirettamente alla loro influenza in termini di un maggiore o minore livello di patologia. Gli autori, seppur sottolineando la necessità di svolgere ulteriori studi in merito, notano come la self-compassion sembri quindi essere implicata negli esiti in termini di salute mentale sia di forme adattive che maladattive di dipendenza interpersonale.
Pur essendo numerose le variabili implicate nello sviluppo e nel mantenimento della depressione, alla luce di questi risultati gli autori dello studio suggeriscono di approfondire maggiormente il ruolo degli schemi positivi (come la self-compassion) nella dipendenza interpersonale e nella sintomatologia depressiva, per comprendere meglio come essa sia legata a questi due ambiti.
Per quanto lo studio sia stato svolto su un ridotto campione di studenti americani e presenti diversi limiti, esso fornisce comunque interessanti spunti di riflessione sia sui tassi di prevalenza della depressione tra gli studenti universitari che sulla conseguente necessità di offrire loro interventi efficaci, cercando di comprendere sempre più a fondo i processi implicati. La presente ricerca fornisce anche un contributo alla crescente spinta in ambito clinico a porre il focus sugli aspetti positivi anziché solo su quelli negativi inerenti gli schemi personali ed interpersonali, sia da un punto di vista preventivo che terapeutico.
Psicologa. Coordinatore della Sezione Toscana di Tages Onlus
(Iscrizione all’Ordine Psicologi della Toscana n°6867)
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Bibliografia e letture consigliate:
Bornstein R.F. (1993). The dependent personality. New York: Guilford Press.
Bornstein, R.F. & Languirand, M.A. (2003). Healthy Dependency: leaning on others without losing yourself. New York: Newmarket Press.
Bornstein, R.F. (2005). The dependent patient. Washington, DC: APA.
Bornstein, R.F. (2011). An Interactionist Perspective on Interpersonal Dependency. Current Directions in Psychological Science, Vol 20, Issue 2, 124 – 128. doi:10.1177/0963721411403121
Denckla, C., Consedine, N.S. & Bornstein, R.F. (2016). Self-compassion mediates the link between dependency and depressive symptomatology in college students. Self and Identity, Vol 16, Issue 4, 373-383. doi:10.1080/15298868.2016.1264464
Gilbert, P. (2010). Compassion Focused Therapy. Distinctive Features. Londra: Routledge. Trad. it. Petrocchi, N. (2012). La terapia focalizzata sulla compassione. Caratteristiche distintive. Milano: FrancoAngeli.
Haggerty, G., Bornstein, R. F., Khalid, M., Sharma, V., Riaz, U., Blanchard, M., Siefert, C. J. &Sinclair, S. J. (2016). Construct Validity of the Relationship Profile Test: Links with measures of psychopathology and adult attachment. Journal of Personality Assessment, 98(1), 82–87. doi:10.1080/00223891.2015.1110824